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Capalbio le Mura


Le Mura di Capalbio costituiscono la cerchia difensiva dell'omonimo borgo. Una prima cinta muraria, di origini medievali, fu costruita dagli Aldobrandeschi tra l'XI e XII secolo, con funzioni di difesa e avvistamento, attorno alla Rocca di Capalbio che costituiva il centro del potere feudale dell'epoca. Nel corso del Quattrocento, mentre Capalbio era amministrato dalla Repubblica di Siena, furono effettuati lavori di riqualificazione alla primitiva cerchia. Grazie a questi interventi, il borgo fu interamente circondato da una doppia cinta muraria, grazie alla realizzazone del secondo ordine di mura più esterno e alla costruzione della Porta Senese sul lato settentrionale attiguo alla rocca. Da allora, le mura sono rimaste pressoché intatte fino ai giorni nostri; recenti interventi di restauro conservativo hanno riportato il monumento agli antichi splendori. Attualmente le Mura di Capalbio, in pietra locale, si presentano come una caratteristica doppia cerchia, con la cinta interna, più bassa, di epoca medievale e quella esterna, più alta, del periodo rinascimentale. Le mura sono intervallate da una serie di torrioni, la quasi totalità a base quadrata. Le cortine murarie presentano tratti di basamento a scarpa sul lato esterno e coronamenti di merlature sommitali; alcuni tratti coincidono con pareti esterne di edifici, dove vi si possono aprire porte e finestre. Molto caratteristico è il doppio camminamento di ronda, situato a livelli differenti. Tra le due porte, spicca certamente la Porta Senese, sul lato nord, dove vi è collocata una lapide del 1418 a ricordo della ristrutturazione delle mura e uno stemma mediceo del 1601, inserito dopo l'annessione di Capalbio al Granducato di Toscana.

Grosseto Piazza Dante

Piazza Dante è la piazza principale di Grosseto, sede dei più importanti edifici della città.La piazza, dalla caratteristica forma trapezoidale, è stata realizzata tra il Duecento e il Trecento ed è costituita da due aree che si ricongiungono l'una con l'altra, senza soluzioni di continuità, dinanzi al sagrato della cattedrale.
L'area principale della piazza è compresa tra la fiancata meridionale destra del Duomo, la facciata principale di Palazzo Aldobrandeschi e il loggiato che si articola senza soluzione di continuità sul lato meridionale e su quello occidentale. Al centro di un'area leggermente rialzata, sotto la quale si trovava una cisterna, si trova il Monumento a Canapone (il granduca Leopoldo II di Lorena), che sorge nel punto dove nei secoli scorsi doveva essere presente il pozzo della corrispondente cisterna sottostante. L'area che racchiude la cisterna interrata è delimitata da una serie di colonnini e catene, che hanno portato i Grossetani a denominare "Piazza delle Catene" questa sezione di Piazza Dante.
L'altro spazio di superficie minore che costituisce la piazza si estende tra il sagrato della cattedrale, il Palazzo Comunale, costruito a partire dal 1867 nel punto in cui sorgeva la chiesa di San Giovanni Decollato, e il novecentesco edificio con loggiato che venne costruito negli anni immediatamente successivi al Ventennio fascista (1947-48) al posto dell'antico Palazzo dei Priori, il cui aspetto è visibile soltanto in alcune stampe d'epoca.
All'estremità settentrionale di Piazza Dante ha inizio Corso Carducci, principale via del centro storico che conduce fino all'area di Porta Nuova; all'estremità sud-orientale della piazza ha origine Strada Ricasoli che conduce a Piazza del Sale dinanzi a Porta Vecchia.
Da notare, infine, la Colonna romana collocata all'angolo destro della facciata del Duomo che, dal periodo medievale fino alla metà dell'Ottocento, aveva trovato posto nella parte meridionale della piazza.

Roccalbegna il Cassero Senese

 

Il Cassero Senese di Roccalbegna è una fortificazione che sovrasta il borgo era un fortilizio minore, usato essenzialmente come punto di vedetta; costituiva il sistema difensivo del centro di Roccalbegna assieme alla Rocca aldobrandesca situata alla sommità dell'altra rupe. Probabilmente, venne costruito agli inizi del XIII secolo dai conti Aldobrandeschi. All'inizio del XV secolo, a causa della perdita della sua importanza strategica, il cassero, allora di proprietà dello Stato senese, fu lasciato in abbandono.
Nel 1446 i Castellani Domenico d'Andrea e Gherardo di Mariano si proposero di restaurarlo a fini strettamente abitativi. Nel 1555 lo Stato senese passò sotto il Granducato di Toscana e nel 1565 Roccalbegna venne concessa dal Granducato agli Sforza della Contea di Santa Fiora. Restò feudo granducale fino al 1751. Con l'abolizione di tutti i feudi, Roccalbegna tornò a costituire comunità giurisdicente fino al 1838, quando fu affidata al vicario regio di Arcidosso.
In corrispondenza dell'attuale giardino, costituito da un ampio prato e alberi d'alto fusto, sorgeva un giardino all'italiana, dotato di un "piccolo casino", risalente al XVII secolo. Di questo giardino non sono rimaste tracce ma approfondite ricerche storiche ipotizzano che questo fosse molto simile al contemporaneo giardino connesso al complesso palatino di Santa Fiora.

Scarlino la Chiesa di San Donato

Chiesa madre di Scarlino da sempre, San Donato si trova nella parte bassa del paese. Documentata fin dal XII secolo, e dagli inizi del Trecento proprietà degli agostiniani, che già occupavano l’attiguo convento, ha subito numerose ristrutturazioni: l’ultima, nel 1929, aveva l’intento di restituire l’originaria austerità romanica.
L’edificio si presenta in stile gotico-romanico con pianta a croce latina e facciata a capanna. All’interno, sulla parete sinistra della navata, molto bello è l’affresco di scuola senese della Madonna con il Bambino tra due santi, della metà del Quattrocento. Sul lato sinistro del presbiterio, in alto, è murato il monumento sepolcrale realizzato nel 1471 per i fratelli Vanni ed Emanuele della famiglia Appiani, signori di Scarlino. Il sepolcro, in marmo, è stato realizzato da un raffinato scultore toscano che si richiama a illustri modelli fiorentini.
Vicino al presbiterio, sopra un pulpito in castagno intagliato nel 1929, è collocata la più importante opera presente a Scarlino: si tratta di una tavola di un artista di cultura nordica del XVI secolo, rappresentante la Crocifissione.
Attiguo alla chiesa, il convento è composto da un chiostro, un refettorio, grandi magazzini, celle ampie e terrazze belvedere costruiti perlopiù nel tardo Settecento quando l’edificio venne adibito ad albergo.

Grosseto Corso Carducci


 
Corso Carducci è la via principale del centro storico di Grosseto.
Situata nell'area pedonale, la strada si sviluppa dritta in direzione sud-nord, coincidendo con un tratto dell'antico tracciato della Via Aurelia che attraversava il centro storico cittadino.
Il corso è stato realizzato con un ampliamento della sede stradale tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, abbattendo alcuni porticati sporgenti che immettevano ai relativi edifici. Gran parte dei fabbricati che si affacciano lungo il corso hanno pertanto subito lavori di ristrutturazione e, talvolta, di ampliamento, rispettivamente per consentire l'allargamento della via precedente e per rendere maggiormente scenografico lo scenario lungo il corso.
La via ha inizio dalla parte settentrionale di Piazza Dante, proprio parallelamente al fianco sinistro del Palazzo Comunale, e termina presso Porta Nuova, nel punto in cui era collocata durante il secolo scorso la Barriera di Porta Nuova, caratteristica cancellata in ghisa che sostituì l'antica porta. Il corso è, indiscutibilmente, la principale via dello shopping cittadino.
Procedendo da sud a nord, vi si affacciano, sul lato destro, il fianco sinistro del Palazzo Comunale, il Palazzo Vescovile, alcuni palazzi in stile neoclassico e liberty, tra i quali Palazzo Berti, Palazzo Cappelli, Palazzo Pallini, Palazzo Tognetti e il Palazzo del Genio Civile, oltre alla facciata principale della Chiesa di San Pietro nei pressi della quale, sul lato opposto, si trova il Palazzo Be

Paganico il Cassero Senese

 


Il Cassero Senese è la principale struttura fortificata dell'omonima località del comune di Civitella Paganico.
Un primo complesso fortificato fu eretto dai Senesi attorno alla metà del Duecento per il controllo della via di comunicazione lungo il fiume Ombrone che da Siena conduceva verso Grosseto.
A seguito della devastazione subita nel 1328 per opera delle truppe di Castruccio Castracani, fu completamente ricostruita la cinta muraria, con 4 possenti fortificazioni, una per ogni lato; a nord-est venne edificato l'imponente complesso del Cassero Senese.
Le strutture fortificate, assieme al centro storico di Paganico, fecero parte della Repubblica di Siena fino alla metà del Cinquecento, epoca in cui, a seguito della definitiva caduta dello stato senese, entrarono a far parte del Granducato di Toscana e, da allora, ne seguirono le sorti.
Nel corso dei secoli successivi il luogo perse l'importanza strategica che aveva assunto nelle epoche precedenti ed andò incontro ad un lento declino. Le conseguenze del degrado sono state la perdita di molte parti dell'originaria cinta muraria e il diroccamento di quasi tutte le fortificazioni. Mentre il Cassero Senese si è ben conservato, le altre strutture hanno perso quasi completamente gli originari splendori; solo la Porta Grossetana, situata sul lato opposto rispetto al Cassero, si è mantenuta discretamente.
Il Cassero Senese di Paganico si presenta come una possente fortificazione costituita da due distinti corpi di fabbrica addossati tra loro. Entrambi rivestiti in pietra e laterizio, si caratterizzano per una serie di finestre che si aprono, nella parte superiore, sia verso l'esterno che verso il centro del paese.
Il corpo di fabbrica principale presenta, al livello stradale, una doppia porta costituita da un doppio arco sia sul lato esterno che su quello interno, dove l'arco a sesto acuto riempito poggia su quello sottostante ribassato. Mentre all'esterno i caratteri stilistici risultano piuttosto semplici con una finestra quadrata che si apre tra i due archi, nel lato interno la porta è decorata in travertino e marmo bianco e presenta lo stemma bianco e nero di Siena al di sopra dell'arco inferiore ribassato, sopra il quale vi è una finestra quadrangolare ripartita in due sezioni.
Le finestre che si aprono su questo corpo di fabbrica si dispongono su due livelli alla sommità della parete interna, separati tra loro da cordonature, mentre sul lato esterno ci sono tre finestre quadrate sopra l'arco a sesto acuto che si dispongono a triangolo, mentre quelle che si aprono sulla parte sommitale sono disposte su un unico livello che poggia su una serie di mensole sporgenti che racchiudono altrettanti archetti ciechi.
La torre, più alta e stretta rispetto al corpo di fabbrica attiguo, presenta anche alcune feritoie che lasciano immaginare il ruolo di difesa ed offesa, oltre alle funzioni di avvistamento.

Cinigiano la Chiesa di San Michele Arcangelo


 


Sede di fonte battesimale alla metà del Quattrocento, fu riedificata alla fine del Cinquecento, quando fu realizzata la facciata in mattoni animata da lesene con un rosone centrale e un coronamento ad archetti. Nel transetto si trovano due eleganti altari con la Trinità con angeli, di bottega nasiniana, e la venerata Madonna delle Grazie di Daniele Lonati (1793). L'opera di maggior rilievo è la Crocifissione e i Santi Francesco, Marco e Sigismondo (1601) di Francesco Vanni. Il dipinto seicentesco con San Giovanni Battista e la Madonna col Bambino che consegna lo scapolare a San Simone Stock è interessante per la veduta di Cinigiano nello sfondo. Da segnalare l'acquasantiera a fusto (1596), e un mobile da sacrestia dell'inizio del Seicento.

Grosseto Palazzo Aldobrandeschi


 

Palazzo Aldobrandeschi, sede della Provincia di Grosseto e noto anche come Palazzo della Provincia, è uno dei principali palazzi del centro storico di Grosseto. La facciata principale dell'edificio, rivolta verso ovest, si affaccia su Piazza Dante e ne delimita il lato orientale, presso il quale vi è l'imbocco di Strada Ricasoli che, scendendo leggermente, conduce a Piazza del Sale.
Un primo fabbricato, costruito in epoca medievale, era collegato alla vicina rocca aldobrandesca, presso la quale sorgeva anche una chiesa, dedicata a San Giorgio; sia la chiesa che l'intero complesso della rocca sono scomparsi nel corso dei secoli, lasciando posto agli attuali edifici situati tra il lato meridionale di Piazza Dante, il Cassero del Sale e il lato sud-occidentale delle Mura medicee. Con l'abbandono e la susseguente demolizione della rocca, il palazzo divenne la residenza cittadina degli Aldobrandeschi.
In epoca medievale e anche nei secoli successivi, il preesistente palazzo aldobrandesco doveva certamente ospitare alcune istituzioni legate alla vita cittadina dell'epoca che, una volta persa l'indipendenza, erano sottomesse prima a Siena e successivamente al Granducato di Toscana.
Il graduale spopolamento della città, dovuto alle migrazioni verso le colline dell'entroterra a causa del dilagare della malaria, portò ad un lungo periodo di decadenza, sia per la città che per le sue sedi istituzionali. Il lento e inesorabile degrado, protrattosi per alcuni secoli, culminò con la decisione di abbattere e ricostruire quel che rimaneva dell'antico palazzo aldobrandesco.
Agli esordi del 1898 cinquecento cittadini grossetani inviano al consiglio provinciale una petizione per l'acquisto e il ripristino dell'antico Pretorio, destinandolo a sede degli uffici della provincia: il palazzo, dopo essere stato per lungo tempo la sede del Podestà, ospitava all'epoca appartamenti privati e botteghe ed era composto da quattro diversi nuclei accorpati. Dopo aver accantonato, per la forte opposizione della popolazione, l'ipotesi di costruire la propria sede fuori delle mura, il consiglio provinciale delibera il progetto di nuova costruzione dell'immobile, demolendo gli edifici preesistenti. Vengono incaricati della redazione del progetto l'architetto Lorenzo Porciatti e l'ingegner Ciriaco Salvadori; la commissione giudicatrice, presieduta dall'architetto Guglielmo Calderini di Perugia, orienta la scelta verso il progetto del grossetano Porciatti, in considerazione dei costi e dell'aspetto estetico dell'opera.
Sulla stampa locale dell'epoca si legge:
« dal lato decorativo verrà restituito a Grosseto il migliore dei suoi monumenti civili, ripristinando con l'elegantissimo stile gotico senese della facciata e dei fianchi uno di quegli edifici che l'ignoranza degli uomini e la barbarie dei tempi deturparono. »
Il progetto realizzato, diverso da quello sottoposto alla commissione, è sostanzialmente rimaneggiato e modificato su "consiglio" del Calderini. Le demolizioni sono avviate nell'autunno del 1899 e i lavori, eseguiti dalla ditta Piero Ciabatti di Grosseto per una spesa totale di 68.408 lire, vengono iniziati il 5 aprile del 1900.
Il nuovo palazzo è ufficialmente inaugurato il 31 maggio del 1903 alla presenza delle autorità.
L'edificio è situato nel cuore del centro storico di Grosseto, in un'area che costituisce il centro nevralgico della città "intra moenia", attraversato dal corso decumano dell'asse di via Carducci.
La facciata del palazzo definisce il fronte settentrionale di Piazza Dante, detta anche del Duomo, ed è circondata a ovest dal fianco lapideo della cattedrale e a sud e a est dai due fronti porticati della piazza, caratterizzati dall'accorpamento di diverse unità su tre e quattro piani, alcune delle quali connotate dal medesimo lessico neogotico del palazzo della Provincia.
Il lotto su cui insiste palazzo è delimitato dai due antichi e angusti borghi di via Aldobrandesca (a ovest) e Galilei (a est) e confina a sud con altre unità residenziali.
Il palazzo presenta una pianta poligonale e una volumetria articolata, sviluppata su due, tre e quattro piani fuori terra più un livello ammezzato.
L'edificio è fortemente connotato dal carattere neogotico, rintracciabile nell'articolazione dei volumi e esplicitato negli elementi formali e decorativi, dell'esterno come dell'interno, e nell'uso dei materiali, travertino e mattoni, che rimanda chiaramente agli edifici pubblici del gotico senese.
Il fronte principale, sulla centrale Piazza Dante, presenta un andamento articolato e asimmetrico ed è composto da quattro diversi nuclei costituiti da due torri (più alta quella più prossima al Duomo) intervallate da due corpi più bassi.
Il piano terra, qualificato dal basamento in travertino, è ritmato da una serie di aperture - un portale archivoltato, cinque aperture finestrate e una feritoia - con arco a sesto ribassato e ghiera archiacuta (nelle sei lunette del portale delle aperture sono presenti altrettanti stemmi con simboli araldici).
Il piano nobile è ricondotto a maggior simmetria grazie alla teoria di sette finestre trifore (trilobate, con colonnine in marmo, ghiera in mattoni e stemmi nella lunetta come per i portali sottostanti): la centrale, in realtà una porta finestra, affaccia su un balconcino con mensole in marmo di foggia rinascimentale e davanzale in marmo traforato.
Il terzo piano è caratterizzato da tre bifore (trilobate e con colonnine in marmo) e da una quadrifora in corrispondenza della torre centrale; la torre situata all'estremità occidentale presenta inoltre due luci quadrate, con cornice modanata in marmo, al quarto livello.
Il fronte è concluso da una cornice a beccatelli (con archetti in mattoni e mensole in marmo) e da un attico merlato in mattoni e travertino, laddove i merli sono tagliati da semplici feritoie; tale motivo qualifica gerarchicamente il fronte principale rispetto a quelli laterali, che ne sono sprovvisti.
Sull'angolo con la via Galileo il fronte, smussato, presenta al primo livello un balconcino in marmo, a pianta poligonale, e una finestra con ghiera mistilinea e la merlatura dell'attico è sostituita da un archetto su pilastri che evoca la vela dei campanili medievali, evidente allusione all'antico richiamo della popolazione.
Il lato occidentale, su quattro livelli, è caratterizzato da una muratura in laterizio per i primi tre piani, scanditi da semplici aperture archivoltate, ed è concluso da una loggia a quattro fornici a tutto sesto inserita in un paramento in travertino.
Il lato orientale, su due livelli, è una semplice cortina in mattoni con tre aperture arcate per piano.
Dal portale sulla piazza si accede ad un andito, goticamente caratterizzato grazie alle decorazioni pittoriche delle pareti e della finta volta a crociera; la scala in pietra serena, di ispirazione scarpiana, è invece il risultato del restauro degli anni Novanta.
Alla destra dell'andito si accede ad un'ampia sala riunioni, completamente riqualificata a seguito del recente restauro, e ad alcuni locali di servizio; alla sinistra si giunge alla portineria, alla scala di servizio e all'ascensore.
In asse con l'andito è situato il vano scale, anch'esso medievaleggiante, con volta a crociera su mensole, finestrone triforo e scala a tre rampe con pilastro ottagono in travertino e balaustra a colonnette in pietra serena.
Al piano nobile sono situati gli uffici della direzione e, in corrispondenza con la sottostante sala conferenze, la sala del Consiglio: questa presenta sul lato nord tre monofore archiacute, che affacciano su una chiostrina interna, ed è caratterizzata dalla decorazione neogotica alle pareti (opera come per il piano terra e per le lunette della facciata dei pittori fiorentini Torrini e Vanni) e dai banchi e sedute in legno, progettate dallo stesso Porciatti.
Il terzo piano, al quale si accede dalla scala di servizio, riguarda soltanto due dei quattro nuclei che compongono l'edificio ed è completamente destinato ad uffici distribuiti attorno al centrale corridoio; il quarto piano è composto di un unico vano (l'interno della torre occidentale) e la superficie rimanente è destinata a terrazza praticabile, articolata su diversi livelli e raccordata da scale.

Scansano la Chiesa di San Giovanni Battista

 

Ricordata dal 1276, fu radicalmente ristrutturata nel secolo XVIII. Nella facciata a capanna spicca il portale quattrocentesco con una cornice ad ovoli.
Nell'interno si segnalano gli altari, realizzati nel secolo XVIII in gesso e stucco, e alcuni dipinti: la Madonna che porge il Bambino a Sant'Anna, dell'inizio del secolo XVII; il Martirio di San Sebastiano, attribuito a Stefano Volpi; la Madonna del Soccorso. Un'elegante incorniciatura policroma quattrocentesca a festoni racchiudeva la Madonna dell'uccellino, terracotta invetriata della bottega di Andrea della Robbia, rubata nel 1971 e sostituita da una copia.
Nel presbiterio, statua lignea policromata della Madonna, del secolo XV. Nell'abside, pregevole coro ligneo seicentesco.

Monterotondo Marittimo le Biancane

 

Il parco naturalistico delle Biancane è un'area naturale in cui sono ubicate le caratteristiche Biancane nei pressi del centro di Monterotondo Marittimo (GR), che e rappresentano uno dei tanti siti in cui la geotermia caratterizza fortemente il paesaggio al confine fra le province di Pisa e Grosseto. Si ha infatti la presenza di diverse tipologi di manifestazioni geotermiche come soffioni, fuoriuscite di vapore dal terreno, putizze e fumarole. Il nome deriva dal colore bianco delle rocce che caratterizza tutto il paesaggio, infatti, le emissioni di idrogeno solforato causano una reazione chimica con il calcare trasformandolo in gesso. Il vapore che esce dalle fratture delle rocce ha una temperatura di circa 100 °C ed è costituito per il 95% da vapore acqueo e per il restante da anidride carbonica, metano, ammoniaca, acido solfidrico responsabile del caratteristico odore di uova marce, acido borico, azoto, idrogeno ed in minor misura elio, argon, radon ed altri gas nobili. In corrispondenza degli sbocchi di vapore si hanno cristallizzazioni di zolfo di nativo sottoforma di aggregati aciculari o di incrostazioni dovute all'ossidazione dell'acido solfidrico dovute al contatto con l'aria. La presenza dell'acido solfidrico è causa inoltre di un'intesa acidificazione del suolo e la forte aggressività chimica di alcuni componenti dei fluidi geotermici ha prodotto un vistoso sbiancamento del suolo. Tutte le rocce si presentano alterate dalla circolazione dei fluidi geotermici, alterazioni che si manifestano con la scomparsa dei colori originali e con variazione della composizione. Le Biancane con i suoi Lagoni rappresentano una delle aree di competenza del Parco Tecnologico Archeologico delle Colline Metallifere Grossetane. Biancane si trova il Lagone. Il cratere viene alimentato da infiltrazioni di acqua termale provenienti dalla collina sovrastante. L'acqua viene portata ad ebollizione dal vapore che esce dal fondo del pozzo fino a raggiungere la temperatura di 100-150 °C. In alcuni casi l'acqua viene spinta in alto con veemenza sino a raggiungere decine di centrimentri di altezza. Le sperimentazioni per l'estrazione di acido borico, da parte di Uberto Francesco Hoefer, hanno avuto inizio proprio alle Biancane, in particolare presso il Lagone Cerchiaio, anch'esso compreso all'interno del territorio delle Biancane. Il termine Cerchiaio deriva dalla traduzione locale, già in epoca altomedievale, di utilizzo delle acque bollenti per la curvatura dei rami di castagno per la "cerchiatura" delle botti. Fin dai tempi degli Etruschi le acque boriche erano ritenute efficaci per le malattie della pelle, le piaghe, come sollievo per artriti e dolori muscolari e per la cura delle malattie del fegato e dei reni. Attualmente l'acido borico viene utilizzato nella produzione di smalti, per le ceramiche, nell'industria del vetro e in quella farmaceutica. Il sito delle Biancane è infine caratterizzato dalla presenza di pozzi geotermici dai quali fuoriesce vapore ad alta entalpia. Il vapore viene così convogliato ed inviato alla centrale geotermica per la produzione di energia elettrica (potenza 10 MW), situata sul lato ovest . Il vapore viene inviato direttamente alla turbina, e successivamente, condensato e depurato dei gas incondensabili. L’acqua di condensa viene raffreddata e reiniettata nel sottosuolo. A Monterotondo Marittimo iniziò la produzione di energia elettrica da fonte geotermica a livello industriale nel 1916. Nel 1918 venne costruita una centrale di produzione presso il Lago Boracifero da 250 KW. La centrale geotermoelettrica dell'ENEL che si trova presso Le Biancane risale al 1958 ed è stata modernizzata nel 2002. Le quattro centrali situate nel territorio del comune di Monterotondo Marittimo riescono a coprire il 70% dell'intero fabbisogno energetico della provincia di Grosseto tramite lo sfruttamento del vapore proveniente dai pozzi geotermici della zon

Santa Fiora la Peschiera

 


la “Peschiera“ è inglobata nel borgo medioevale di Santa Fiora: è uno specchio d’acqua racchiuso da mura di granito. In origine fu vivaio ittico dei conti Aldobrandeschi, in seguito divenne il centro del parco – giardino rinascimentale che ospitò la visita di papa Pio II Piccolomini nel 1464. Dalla Peschiera ha origine il Fiume Fiora e la sorgente che alimenta gli omonimi acquedotti che dissetano tutta la maremma Grossetana. A lato della Peschiera, inglobato nelle mura di cinta,sorge l’Oratorio della Madonna delle Nevi (XVII° sec.), comunemente detto “ Oratorio della Piscina”. Nella facciata è collocata una terracotta Robbiana raffigurante le Sante Flora e Lucilla.. All’interno affreschi attribuiti al Nasini sotto il pavimento,recentemente ristrutturato con piastre trasparenti , scorre una vena sorgiva nella quale un tempo venivano immerse le fedi nuziali dei novelli sposini. ………. Lasciamo al turista la scoperta del paese ricco di storia e arte, diviso in tre terzieri: Castello, Borgo, Montecatino. Un vecchio adagio recita: “ a Santa Fiora chi ci va ci s’innamora! “……….

Capalbio la Rocca Aldobrandesca

 
 
La Rocca Aldobrandesca di Capalbio si trova nel cuore del centro storico dell'omonima località della Maremma grossetana, denominata anche la piccola Atene. La rocca sorse in epoca medievale come possedimento dell'Abbazia delle Tre Fontane di Roma. Nel corso del Duecento passò alla famiglia Aldobrandeschi che la ampliarono, conferendole un aspetto ancor più fortificato; gli Aldobrandeschi la controllarono a vicende alterne fino alla fine del Trecento, quando la persero definitivamente a vantaggio degli Orsini di Pitigliano. La permanenza di Capalbio e della sua rocca nella Contea degli Orsini fu, tuttavia, molto breve, a causa della conquista da parte dei Senesi avvenuta agli inizi del Quattrocento. Da allora, la Rocca aldobrandesca fu uno degli avamposti più meridionali della Repubblica di Siena. I Senesi eseguirono dei lavori di ristrutturazione, conferendo al monumento architettonico l'aspetto attuale. Nella seconda metà del Cinquecento, con la definitiva caduta di Siena, la fortificazione passò nelle mani dei Medici, seguendo le sorti del Granducato di Toscana. La Rocca aldobrandesca di Capalbio è situata nel punto più alto del borgo ed è costituita da una torre e da un elegante palazzo signorile, addossati tra loro su un lato. La torre costituisce il nucleo originario del complesso e si presenta a sezione quadrangolare poggiante su un basamento a scarpa cordonato; la parte alta è coronata da una merlatura sommitale che poggia su mensole che racchiudono archetti ciechi.

Grosseto la Chiesa di San Giuseppe

 
 
La chiesa di San Giuseppe è ubicata nella zona occidentale della città, lungo via Nazario Sauro. La chiesa fu costruita negli anni trenta del secolo corso, più precisimante a partire dal 1935, su progetto dell'ingegner Ernesto Ganelli. I lavori si protrassero per un lustro, concludendosi all'inizio del 1940, anno in cui vi fu anche la consacrazione del luogo di culto. La chiesa divenne sede parrocchiale, per far fronte alle esigenze degli abitanti residenti nella parte occidentale della città, al di là della ferrovia Pisa-Livorno-Roma, che proprio in quei decenni conobbe una notevole espansione verso quella corrispondente area periferica. La chiesa di San Giuseppe si presenta in stile neoromanico. La facciata è ripartita in tre ordini, corrispondenti alle tre navate interne, in ciascuno dei quali si apre un portale d'ingresso architravato, con lunetta decorata chiusa in alto da un arco a tutto sesto, L'ordine centrale della facciata, di altezza più elevata rispetto a quelli laterali, presenta nella parte superiore un rosone circolare, sopra il quale si sviluppa il coronamento sommitale. Sui fianchi esterni corrispondenti alle due navate laterali si aprono una serie di rosoni circolari, simili a quello della facciata centrale; una serie di bifore con colonnine ed archetti a tutto sesto caratterizzano le parti esterne di altezza superiore, che contribuiscono ad illuminare, dall'alto, la navata centrale. Sul lato destro dell'edificio religioso si eleva il campanile, suddiviso in cinque ordini, ognuno dei quali presenta aperture proporzionali al piano, con colonnine ed archetti a tutto sesto; sulla parte sommitale che contiene la cella campanaria è presente una pentafora. La parte apicale è chiusa da un tetto a quattro spioventi di modesta inclinazione. L'interno è suddiviso in tre navate, separate da colonne in trachite e marmo rosso, con pregevoli capitelli decorativi che danno l'appoggio alle arcate a tutto sesto. Di ottima fattura risultano le vetrate decorative che ornano le varie finestre, ben integrate nell'impianto neoromanico. Ciascuna navata termina con un abside semicircolare.

Giglio Porto la Torre del Saraceno


 

La Torre del Saraceno, nota anche come Torre del Porto, si trova lungo la costa orientale dell'Isola del Giglio, nel cuore della località di Giglio Porto. L'attuale denominazione è stata conferita a seguito di una violenta incursione di una flotta di pirati saraceni, che danneggiò gravemente l'originaria struttura.
La torre costiera, costruita in epoca medievale, era originariamente un possedimento dell'Abbazia delle Tre Fontane di Roma, per poi passare agli Aldobrandeschi con l'inizio del loro controllo dell'isola.
Durante la dominazione pisana, la fortificazione andò probabilmente incontro ad un periodo di abbandono e di degrado che ebbe termine con l'annessione dell'Isola del Giglio al Granducato di Toscana.
I Medici fecero eseguire vari interventi di recupero a partire dalla seconda metà del Quattrocento, ma i più importanti di essi furono effettuati attorno alla metà del secolo successivo per volere di Cosimo I de' Medici. Tuttavia, negli anni successivi, la torre fu bersaglio di numerosi tentativi di assalto, durante uno dei quali venne gravemente danneggiata dai pirati, richiedendo un profondo intervento di ricostruzione verso la fine del Cinquecento, quando la struttura architettonica militare fu ulteriormente fortificata da un rivellino esterno e da altri elementi difensivi.
Ulteriori interventi di ristrutturazione vennero effettuati nel Settecento e all'inizio del secolo scorso: tra di essi ci fu la definitiva dismissione della torre dalle originarie funzioni militari a seguito dell'Unità d'Italia.
La Torre del Saraceno si trova su una scogliera in granito tra le abitazioni di Giglio Porto, in posizione dominante rispetto al vicino porto.
La torre si presenta a pianta circolare, poggiante su un basamento a scarpa cordonato, con pareti rivestite in blocchi di pietra. La parte sommitale, modificata dagli ultimi interventi di restauro, è caratterizzata da una terrazza delimitata da un robusto parapetto che poggia su una serie di mensole che delimitano, a loro volta, altrettanti archetti ciechi.
Lungo le pareti esterne si aprono ad altezze diverse varie feritoie e finestrelle di forma quadrangolare, soprattutto nella parte alta dell'edificio turriforme, ove erano collocate le cannoniere per svolgere le funzioni di attacco e di difesa attiva. Al primo piano rialzato sopra il basamento a scarpa vi è quella che in passato costituiva la porta d'accesso alla struttura difensiva, a cui si giungeva attraverso una rampa di scale esterna che culminava con un ponte levatoio.
Su un lato, la torre è addossata ad altre strutture murarie in pietra che costituiscono i resti del rivellino.

Magliano il Monastero di San Bruzio

Il Monastero di San Bruzio si trova nella campagna a sud-est di Magliano in Toscana, lungo la strada che conduce a Sant'Andrea.
I resti della chiesa, iniziata verso il 1000 dai Camaldolesi e terminata verso la fine del XII secolo, consistono nell'abside, nelle pareti orientali del transetto e negli archi che sostengono la cupola con i pennacchi da cui si sviluppava la calotta ottagonale e si imposta ancora la base del tiburio. I bei capitelli dei semipilastri, decorati con fogliami e teste antropomorfe, sono stati avvicinati a quelli di San Rabano nella comune derivazione di modelli d'Oltralpe.
L'abside ha un'elegante decorazione ad archetti pensili divisi per coppie da esili semicolonne. La perfetta realizzazione della cortina muraria esterna, in grossi conci di travertino perfettamente squadrati, contribuisce al valore anche estetico del rudere.

Sorano la Fortezza Orsini

La Fortezza Orsini di Sorano è un'imponente complesso fortificato e residenziale situato nella parte alta dell'omonima località, in posizione dominante rispetto a tutto l'abitato e al territorio circostante.
La fortificazione sorse come rocca aldobrandesca nel corso del XII secolo.
Ingresso della Fortezza OrsiniDopo essere passata nella Contea di Sovana a seguito della spartizione dei beni della famiglia Aldobrandeschi, il complesso venne ereditato dagli Orsini alla fine del Duecento, che la fecero diventare una delle loro più importanti residenze e il centro del potere della loro contea assieme al Palazzo Orsini di Pitigliano.
L'imponente struttura riuscì a resistere, rimanendo indenne, a tutti gli assedi che vennero condotti dagli Orvietani (XIV secolo), dai Senesi (1416-17 e 1454-55) e dalle truppe dello Stato Pontificio che, in epoche diverse, tentarono più volte la conquista di Sorano per annetterlo al loro territorio.
Nel corso del Cinquecento, furono effettuati una serie di lavori che ampliarono il complesso, renendolo ancor più possente. Tuttavia, la successiva caduta politica della Contea degli Orsini e la conseguente annessione di tutti i suoi territori al granducato di Toscana determinarono la trasformazione della fortezza in presidio militare mediceo, fino alla dismissione avvenuta nella prima metà del Settecento.
Nei secoli successivi, il complesso andò incontro ad un lungo periodo di declino che ha compromesso alcuni punti della struttura; fortunatamente, una serie di interventi di restauro condotti a cavallo tra la fine del secolo scorso e gli inizi del nuovo millennio, ha permesso di riportare la fortezza agli antichi splendori.
Facciata della Fortezza OrsiniLa Fortezza Orsini di Sorano si presenta come una struttura architettonica molto complessa, raggiungibile dalla parte bassa attraverso una porta, originariamente munita di ponte levatoio.
Dalla porta ha inizio una rampa di scale parzialmente coperta che collega 2 cortili su differenti livelli, disposti attorno alla zona più antica del complesso.
Il castello è il nucleo originario della fortificazione e comprendeva l'antica residenza padronale; il fossato e le cortine murarie a picco erano l'ulteriore dispositivo di difesa del castello. Al suo interno, grazie agli ultimi restauri, sono venuti alla luce alcuni affreschi di scuola senese del Cinquecento; alcuni di questi, voluti da Niccolò IV degli Orsini, raffigurano la celebre canzone di Giovanni Boccaccio "Io mi son giovinetta" (Decamerone, IX giornata).
L'area più antica comprende anche una torre a sezione circolare, che era parte integrante dell'antica rocca aldobrandesca.
La parte cinquecentesca della fortezza è costituita da un edificio, ristrutturato in stile neoclassico, che si trova nella seconda parte del complesso lungo il lato occidentale delle mura, in gran parte compromesso dal degrado dei secoli scorsi. Il fabbricato è collegato a due bastioni angolari a punta, quello di San Marco a est e quello di San Pietro a ovest, dove è collocato anche un grande stemma d'angolo.
L'intero complesso è adibito ad area museale dove ha sede il Museo del Medioevo e del Rinascimento.
Particolare dello StemmaIl fastoso stemma, raffigurante i leoni rampanti e le barre, le rose e l'orso araldico, rappresenta sia la famiglia Aldobrandeschi che quella degli Orsini che ereditò successivamente il complesso.
Il simbolo degli Aldobrandeschi era infatti rappresentato dai leoni rampanti, mentre le barre, le rose e l'orso araldico raffiguravano la casata degli Orsini.

Pitigliano la Chiesa di San Rocco

 

La chiesa fu costruita nel corso del Cinquecento come luogo di culto e di preghiera per i fedeli che abitavano nella corrispondente area del centro storico.
L'edificio religioso fu frequentato per lungo tempo, anche se la riqualificazione delle principali chiese del centro storico fece sì che divenisse soprattutto un luogo di sosta per le preghiere, mentre lo svolgimento delle funzioni religiose veniva privilegiato nelle chiese più ampie.
In tempi relativamente recenti, quasi sicuramente tra il tardo Ottocento e gli inizi del Novecento, il luogo di culto venne chiuso ed in seguito ceduto a privati che lo hanno trasformato ed adibito ad altri usi.
La chiesa di San Rocco si trovava all'interno di un fabbricato, in cui sono ben leggibili le testimonianze delle funzioni religiose a cui era originariamente adibito.
Pur essendo stato perduto l'impianto del portale d'ingresso, viste le modifiche effettuate alla facciata, rimane ben visibile una caratteristica nicchia in posizione rialzata, in cui è collocata una venerata statua, sotto la quale vi è l'iscrizione che ricorda la dedizione al santo dell'originario edificio religioso.
Il fabbricato è stato suddiviso in tre distinti livelli, ove sono state ricavate unità abitativ

Orbetello Porta Media



 


Porta Media o Terra o del Soccorso Costruita da Filippo III e terminata nel 1620, è in travertino e aveva un frontone, due guglie laterali e altri elementi architettonici ora caduti in laguna. Attalmente fra le porte di Orbetello è la meno conservata. Porta a Mare o alle Mulina Fu distruitta nel 1896, si trovava all'estremità occidentale della città, di fronte all'Argentario, nella zona detta il Porto. Porta Nuova a Terra o Porta Moedina Coeli Porta d'ingresso della città, fu costruita sotto la dominazione senese dall'architetto Antonio Maria Lari e terminata dal Cataneo. Risale al 1697 una sua successiva ristrutturazione, sotto il regno di Carlo II, e prese il nome dal vicerè di Napoli allora regnante (Luis Francisco de la Cerde duca di Medinacoeli). La sua funzione era quella di rendere ancora più sicuro il sistema difensivo da terra. Sulla facciata rivolta verso il centro storico, in alto al centro, fu collocato il busto di San Biagio e ancora lo si può vedere rivolgere la benedizione ai cittadini che escono dalla porta. Al di sotto, sopra l'epigrafe che ricorda il completamento dell'opera, lo stemma dei reali di Spagna. Sul lato destro si può invece vedere l'emblema della città di orbetello: il leone che infiocina un pesce.

Follonica il Museo del Ferro e della Ghisa

 

Fondato nel 1995, il Museo nacque per salvare dalla distruzione le fusioni artistiche e i modelli in legno ancora conservati nello stabilimento Ilva nel 1970, al momento della chiusura delle officine; i macchinari delle fonderie furono invece in gran parte demoliti. I reperti, ospitati in varie sedi, furono trasferiti nella sede definitiva del Forno di San Ferdinando nel 1998. L'allestimento documenta l'attività locale di lavorazione artistica del ferro e conserva reperti etruschi e ottocenteschi. La raccolta è costituita da arnesi da lavoro, modelli in legno per opere artistiche di fusione e oggetti in ghisa prodotti nelle fonderie di Follonica. Ne fa parte anche un forno fusorio etrusco originale. Più recentemente, ha acquisito una raccolta di arnesi da lavoro donati da ex fonditori locali. È affiancato da una Mediateca che conserva carte, disegni e un ricco corredo fotografico, oltre a un piccolo numero di testimonianze orali registrate che si riferiscono alla storia dello stabilimento. Il Museo è inserito nel perimetro magonale e fa parte di un affascinante itinerario all'interno dell'area dell'ex stabilimento Ilva. Il percorso presenta suggestive testimonianze della lunga stagione del ferro: il cancello di ferro lavorato e di getti, i casotti di guardia, il palazzo granducale, la palazzina del direttore, la residenza dei dipendenti, le fonderie n. 1 e 2, la torre idraulica, il forno tondo San Ferdinando, il bottaccio, la torre dell'orologio e altri edifici connessi al buon funzionamento del grande stabilimento.

Grosseto il Pozzo dello Spedale e il Pozzo della Bufala

 


Il Pozzo dello Spedale è un pozzo-cisterna situato in Piazza San Francesco .
L'opera venne realizzata nel 1465 dallo Spedale di Grosseto, all'epoca dipendente da quello di Santa Maria della Scala di Siena, la cui sede era nell'edificio che si affaccia sul lato orientale di Piazza San Francesco, che attualmente ospita il Polo Universitario Grossetano.
L'istituzione committente dei lavori ha conferito la denominazione a questo pozzo-cisterna, che venne costruito per favorire l'approvvigionamento idrico della struttura ospedaliera e delle abitazioni situate nella parte settentrionale del centro storico; la città di Grosseto, infatti, da sempre ha sofferto della mancanza d'acqua a causa delle precipitazioni piuttosto scarse e irregolari e dell'assenza di sorgenti nelle aree circostanti.
Con il miglioramento del sistema di rifornimento idrico cittadino, avvenuto tra il Settecento e l'Ottocento, l'opera perse quelle che erano le sue originarie funzioni, tanto da andare incontro ad un lento ed inesorabile declino. Una serie di restauri avvenuti durante il secolo scorso hanno permesso di riportare il pozzo monumentale al suo antico splendore.



Il Pozzo della Bufala è un pozzo-cisterna situato nel Chiostro di San Francesco a Grosseto. La denominazione è stata conferita da una bufala che, per fuggire al macello a cui era destinata, entrò all'interno del chiostro precipitando e morendo nell'enorme buca che era stata scavata per
L'opera venne realizzata nel 1590 al centro del cortile del chiostro del Convento di San Francesco, che precedentemente si presentava sotto forma di un prato erboso.
La realizzazione del pozzo-cisterna, che aveva lo scopo di approvvigionare il convento, fu commissionata da Ferdinando I de' Medici, per poter sostituire il preesistente pozzo, situato all'esterno dell'attuale area conventuale, che fu abbattuto durante i lavori di costruzione delle Mura medicee.
Con la costruzione del pozzo, l'area erbosa all'interno del chiostro venne completamente lastricata.

Aspetto attuale Il Pozzo della Bufala si presenta come una struttura monumentale in travertino, collocata lungo la diagonale al centro del cortile del Chiostro di San Francesco, che in quel punto risulta rialzato per accogliere la sottostante cisterna.
Il pozzo propriamente detto si trova al centro del doppio basamento circolare e presenta ancora oggi l'apertura per incanalare l'acqua piovana nella cisterna interrata; lungo la struttura muraria che lo delimita vi è collocato uno stemma. Lateralmente si elevano due colonne a sezione circolare che culminano con capitelli, sui quali poggia la pregevole struttura architravata che caratterizza il coronamento sommitale, sul quale poggiano due pinnacoli laterali ed uno centrale più ampio e di forma sferica.

Massa Marittima il Cassero Senese

 

Il Cassero Senese di Massa Marittima è una struttura fortificata situata nella parte alta del centro storico dell'omonima località.
La fortificazione fu costruita, a più riprese, tra il Duecento e il Trecento.
I lavori ebbero inizio nel 1228, per delibera del Comune di Massa Marittima, con la realizzazione della Torre dell'Orologio e proseguirono, durante il secolo successivo, con la costruzione della Porta delle Silici e del rimanente complesso fortificato.
Il luogo assunse una rilevanza strategica, dopo che il vicino Castello di Monteregio venne venduto ad alcune locali famiglie; l'intera struttura svolgeva, infatti, funzioni di avvistamento ma anche di difesa ed offesa.
Tuttavia, dal XV secolo in poi, Massa Marittima andò incontro ad una gravissima crisi demografica, protrattasi per alcuni secoli fino all'Ottocento. Tutto ciò, determinò un lento declino del complesso fortificato che, in alcuni punti, mostra ancora i segni del lunghissimo degrado, nonostante i restauri condotti durante il secolo scorso che hanno comunque permesso di riportare l'intera struttura agli antichi splendori.
Il Cassero Senese di Massa Marittima si presenta come una complessa e articolata struttura fortificata, costituita da una serie di corpi e cortine murarie coronate da archetti ciechi che poggiano su una serie di mensole sporgenti; lungo le cortine sono inclusi anche bastioni e torri.
Il complesso è direttamente unito attraverso un'imponente arcata alla Torre del Candeliere e alla Porta delle Silici, entrambe inglobate nel complesso.

Semproniano la Pieve dei Santi Vincenzo e Anastasio

 
La pieve dei Santi Vincenzo e Anastasio è un edificio sacro situato a Semproniano. Il paramento murario a filaretto, il portale ed alcune aperture tamponate rivelano l'origine medievale dell'edificio, ad una sola navata terminante in una scarsella e completato sul retro da un campanile. All'esterno, tre monofore strombate di gusto gotico ed una epigrafe che documenta restauri avvenuti nel 1579. L'interno, diviso in quattro campate da arconi a tutto sesto e coperto a capriate, conserva alcuni resti di elementi decorativi duecenteschi (formelle con rosette, due capitelli e un'acquasantiera). All'altare maggiore è un dipinto seicentesco (la "Madonna con Sant'Antonio abate, Santa Lucia ed il pievano con il mostro dei Vignacci") legato alla leggenda di un pievano che riuscì ad un uccidere un mostro che infestava la zona.

Porto Santo Stefano la Fortezza Spagnola



La Fortezza Spagnola è un'imponente fortificazione costiera situata in posizione dominante all'interno dell'abitato di Porto Santo Stefano, frazione del comune di Monte Argentario.
Il complesso venne costruito dagli Spagnoli tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, dopo che Porto Santo Stefano entrò a far parte dello Stato dei Presidi. Il luogo scelto per la costruzione della struttura fortificata difensiva era già stato scelto dai Senesi per la realizzazione della Torre di Santo Stefano durante il periodo quattrocentesco.
Della preesistente torre furono utilizzati alcuni materiali edilizi dopo la sua demolizione voluta dagli Spagnoli perché non ritenuta all'altezza del più efficiente sistema difensivo costiero in fase di realizzazione.
I lavori di costruzione del complesso difensivo andarono tuttavia avanti molto a rilento, terminando soltanto nel 1636 con alcune modifiche migliorative apportate dopo l'elaborazione di un successivo progetto migliorativo dell'ingegnere militare Pedro Alvarez. La fortificazione svolse efficacemente per secoli le sue funzioni difensive, riuscendo in varie circostanze a resistere e a respingere attacchi ed incursioni nemiche provenienti dal mare.

All'inizio dell'Ottocento i Francesi potenziarono la struttura difensiva per resistere ad eventuali assalti di navi britanniche durante il periodo napoleonico. In seguito, l'intero territorio entrò a far parte del Granducato di Toscana e i Lorena effettuarono alcuni interventi di restauro delle pavimentazioni. Dopo l'Unità d'Italia, la fortezza continuò a svolgere le funzioni militari divenendo un presidio strategico durante la prima guerra mondiale, mentre nel dopoguerra della seconda guerra mondiale furono aggiunti i due corpi di fabbrica sulla terrazza più elevata per ospitare temporaneamente gli uffici comunali a seguito dei pesanti bombardamenti che avevano interessato l'intero abitato.
Una serie di restauri portati avanti nella seconda metà del secolo scorso hanno permesso di riportare l'intero complesso agli antichi splendori.
Attualmente la Fortezza Spagnola si presenta come un imponente complesso che si sviluppa a pianta quadrangolare, con imponenti basamenti a scarpa che nella parte alta culminano con un coronamento di mensole sporgenti che racchiudono altrettante caditoie, ove trova appoggio il parapetto che delimita le terrazze sommitali: tale coronamento ricorda negli elementi stilistici quello che caratterizza anche la Torre di Buranaccio.
La fortificazione è costituita da due corpi di fabbrica addossati tra loro, con quello di altezza minore che si articola sul lato rivolto verso il mare.
Le pareti esterne presentano alcuni tratti rivestiti in pietra (prevalentemente agli angoli) ed altri in intonaco scialbato, con numerose feritoie che si aprono a varie altezze. L'accesso al complesso avviene sul lato rivolto verso terra, ove una porta d'ingresso si apre al livello superiore, preceduta da una lunga e caratteristica rampa di scale esterna che termina con un ponte che ha sostituito il perduto ponte levatoio ligneo originario. Una serie di camminatoi, protetti da cortine murarie, collegano le varie parti della fortezza, tra i quali una serie di rampe di scale coperte che conducono alla terrazza più elevata, ove furono costruiti i due fabbricati posticci per ospitare la sede e gli uffici comunali dopo la seconda guerra mondiale. Originariamente, la parte sommitale era caratterizzata dalla presenza di una serie di garitte purtroppo perdute.
Nella parte interna corrispondente al basamento a scarpa vi erano le cisterne che garantivano grandi depositi di acqua, mentre ai livelli superiori si trovavano gli spazi adibiti per gli alloggi delle sentinelle. Attualmente vi ha sede un museo ed uno spazio espositivo.

Castiglione della Pescaia la Casa Rossa Ximenes

 


La Casa Rossa Ximenes è un edificio situato a Castiglione della Pescaia. La sua ubicazione è a est del centro abitato, all'estremità occidentale dell'area palustre della Riserva naturale Diaccia Botrona.
Il complesso fu costruito da Leonardo Ximenes nel 1765, durante i lavori di bonifica della Maremma grossetana, che in quest'area dovevano portare al prosciugamento dell'antico Lago Prile, o Lago di Castiglione, attraverso un'imponente opera ingegneristica di canalizzazione.
Lo Ximenes fu incaricato di effettuare i lavori di bonifica dai granduchi di Lorena, le cui opere furono definitivamente concluse soltanto negli anni Cinquanta del secolo scorso.
La costruzione della Casa Rossa era finalizzata unicamente per il controllo del flusso delle acque tra la vasta area palustre ed il vicino Mar Tirreno.
La Casa Rossa Ximenes si presenta come un caratteristico complesso architettonico costituito da un corpo di fabbrica principale che poggia su una struttura a tre arcate, sotto la quale passano le acque che dalla Diaccia Botrona tendono a defluire verso il mare. Il corpo di fabbrica principale, che si articola su due livelli, è addossato su ciascun lato ad un altro corpo di fabbrica.
Sui due livelli del corpo di fabbrica principale si aprono una serie di finestre di forma quadrangolare, ciascuna delle quali è separata da quella attigua da una lesena che attraversa verticalmente l'intera facciata; sui corpi di fabbrica laterali che presentano un livello in meno vi è soltanto una finestra tamponata. Dal lato meridionale del complesso origina un ponte a cinque ordini di arcate che unisce l'area del complesso architettonico alla zona palustre prospiciente.
Sotto il corpo principale del fabbricato vi è il sistama di cateratte ideato da Leonardo Ximenes per permettere di controllare il flusso delle acque.
All'interno del complesso architettonico è ospitato il Museo multimediale della Casa Rossa Ximenes.

Gavorrano il Pozzo Roma

 

Il Pozzo Roma (situato a quota +200 m slm) è il simbolo della Miniera di Gavorrano (GR). Il castelletto di estrazione del pozzo è attualmente costituito da una torre verticale a traliccio in ferro che sostiene le guide e porta in alto le molette (funi) e da una coppia di puntoni obliqui leggermente divaricati verso il basso, che hanno il compito di resistere alla risultante del tiro delle funi. Gli edifici circostanti ospitano gli ambienti di servizio del pozzo (sala argano, cabine elettriche) e gli impianti della laveria per il trattamento del minerale.
Il suo scavo fu iniziato nel 1914 e già alla fine di quell'anno raggiunse il livello +150 m slm. Per renderlo subito efficiente venne rivestito in parte in legname ed in parte in muratura e venne dotato di un castelletto e di un argano di estrazione, successivamente sostituito con quello che è visibile adesso. Attraverso questo pozzo si effettuava l'estrazione del minerale dai cantieri sotterranei che erano collegati attraverso una serie di gallerie di carreggio, poste a diversi livelli e alcune lunghe decine di chilometri. Per questo motivo è situato nei pressi dell'impianto di frantumazione e di arricchimento della pirite (l'impianto delle Laverie). Da questo momento in poi, quindi, diviene il fulcro della Miniera di Gavorrano, dato che gran parte del minerale estratto usciva da questa struttura.
Pozzo RomaNel 1915 raggiunse la profondità di +90 m slm.
Nel 1922 venne ampliata la cabina dell'argano.
Nel 1954 fu installato un nuovo argano a tamburi cilindrici dalla potenza di 50 HP e l'anno successivo venne modificata l'apparecchiatura per il carico e dosaggio automatico in maniera da garantire una portata di circa 120 tonnellate orarie.
Nell'anno 1963 venne sostituito il vecchio impianto di estrazione con un nuovo argano a puleggia d'aderenza detto Sistema Koepe dotato di apparecchiature elettromeccaniche di comando e controllo e messo in funzione un motore della potenza di 750 HP. (La puleggia d'aderenza Koepe è un particolare organo per il sistema di avvolgimento della fune che permette un perfetto equilibramento automatico). Con questo sistema le operazioni di carico e scarico divennero più rapide (la durata era di circa 1 minuto). L'impianto di estrazione era costituito da skip della portata di 4,223 vagoni da 400 litri ciascuno. Ogni skip veniva riempito automaticamente e ripartiva alla velocità di 9 m/sec.
Nel 1970 il Pozzo Roma fu approfondito fino al livello –140 m slm che ne è tuttora la base.
Fino alla metà degli anni ‘ 70 le operazioni di carico e scarico veniva eseguita in 2 turni di lavoro, e successivamente fu organizzata in un solo turno durante il quale gli skip compievano circa 300 corse estraendo circa 500 mc di minerale (circa 2.500 tonnellate).

Manciano la Rocca Aldobrandesca

 

La Rocca aldobrandesca di Manciano si trova nel centro storico dell'omonima località, in una posizione dominante da dove è possibile osservare in modo ottimale una vastissima area ad ovest dell'abitato fino al mare. La rocca venne costruita nel corso del XII secolo, divenendo proprietà della famiglia Aldobrandeschi. Dagli inizi del Trecento in poi, vi furono numerose contese per il controllo della fortificazione, considerata da molti in posizione strategica. Dopo una breve occupazione da parte degli Orvietani, la rocca passò agli Orsini di Pitigliano che la controllarono fino al Seicento, a parte un temporaneo dominio senese nella prima metà del Quattrocento durante il quale furono effettuati alcuni lavori di ristrutturazione ed ampliamento. Attorno alla metà del Seicento, Manciano e la sua rocca entrarono a far parte del Granducato di Toscana, assieme ai rimanenti territori della Contea degli Orsini, che scompariva definitivamente dallo scenario geopolitico. Nella seconda metà del Settecento furono effettuati lavori di restauro per salvare la fortificazione dal degrado; un ultimo intervento di recupero è stato condotto nel secolo scorso. La Rocca aldobrandesca di Manciano sorge un basamento quadrangolare delimitato da cortine murarie. Il complesso è costituito da due corpi di fabbrica addossati tra loro su un lato, uno più ampio, di altezza minore, a sezione quadrangolare e uno più alto che costituisce la torre della rocca. L'edificio principale presenta basamenti a scarpa, pareti interamente rivestite in pietra dove si aprono finestre disposte su tre livelli; la parte alta, cordonata, è coronata da una caratteristica merlatura sommitale. La torre è caratterizzata, anch'essa, da una parte alta cordonata e dalla merlatura sommitale che riprendono perfettamente l'aspetto estetico dell'altro corpo di fabbrica. Le pareti in pietra presentano meno aperture e il basamento a scarpa è molto più alto e pronunciato, circondato su tre lati da cortine murarie che delimitano una sorta di piccolo fortilizio, addossandosi alla parte bassa dell'altro corpo di fabbrica. Il complesso è attualmente sede del Comune di Manciano.

Arcidosso la Rocca Aldobrandesca

 

La Rocca aldobrandesca di Arcidosso si trova nella parte più alta del centro storico dell'omonima località del Monte Amiata. Il termine rocca, anziché castello, è legittimato da una origine indubbiamnete militare delle prime costruzioni. Successivamente però la struttura è andata qualificandosi come castello, per essere stata utilizzata sempre più, dal medioevo ad oggi, in funzione civile e istituzionale. La rocca venne costruita probabilmente intorno all'anno 950 in piena epoca medievale, forse dalla famiglia Aldobrandeschi su preesistenti costruzioni di epoca longobarda; passò successivamente nella Contea di Santa Fiora a seguito della spartizione dei beni tra i due rami della famiglia. Recenti studi archeologici hanno stabilito che, quando intorno al 1100 gli Aldobrandeschi decisero di costruire la torre maestra, la rocca possedeva di già un palazzo in pietra di due piani fatto edificare molto probabilmente dal Merchese Ugo di Toscana tra il 970 e il 995. Quello di Arcidosso è il più antico palazzo extraurbano di governo statale in Italia e uno dei più antichi d'Europa. Qui risiedevano i Visconti del Monte Amiata nominati da Ugo. Gli Aldobrandeschi trasformarono e ampliarono la Rocca sopraelevando di due piani il palazzo torri e cinte murarie merlate. Gli ultimi interventi medievali furono eseguiti dalla Repubblica di Siena dopo il 1332. Infatti nel corso del Trecento i Senesi cercarono più volte di espugnare il luogo, cosa che avvenne nel 1331 grazie all'assedio portato avanti da Guidoriccio da Fogliano; da allora Arcidosso e la sua rocca entrarono a far parte della Repubblica di Siena. Gli eventi storici successivi si legano con la storia della Repubblica senese. Nel 1980, nel Palazzo Pubblico di Siena, è venuto alla luce un affresco di probabile attribuzione a Simone Martini, in cui appare il Castello di Arcidosso in un contesto di non facile interpretazione, ma che sembra riferibile alla conquista di Guidoriccio da Fogliano del 1331. Nella seconda metà del Cinquecento, a seguito della definitiva caduta di Siena, il luogo venne inglobato nel Granducato di Toscana, segunedone le sorti da quel momento in poi. La Rocca aldobrandesca di Arcidosso è costituita da un imponente edificio a due corpi di fabbrica (uno dei quali più ribassato), caratterizzati, nell'insieme, da una sezione quadrangolare che poggia, a tratti, su imponenti basamenti a scarpa; le pareti esterne sono rivestite in filaretto. Il lato settentrionale del complesso fortificato si caratterizza per la presenza di una torre che si eleva oltre il tetto del corpo di fabbrica più alto. La sommità della torre è coronata da una serie di archetti ciechi poggianti su mensole, che costituiscono la base della merlatura soprastante.

Castel del Piano Raccolta d'Arte Museo Nerucci

 

Custodita in una sala al piano nobile di Palazzo Nerucci la raccolta è costituita da un nucleo di opere che giungono da un lascito di fine ‘800 della famiglia Vegni all’Ospedale di Casteldelpiano. Di provenienza privata, la raccolta si caratterizza per la sua natura fortemente collezionistica, presentando una significativa serie di paesaggi e vedute. Tra le nove opere esposte spicca tuttavia un altro genere: quello del ritratto. Occorre segnalare infatti il pregiato autoritratto in pastello dell’artista veneziana Rosalba Carriera (1675 - 1757) ed il ritratto di Cosimo III dei Medici, anch’esso di mano femminile, eseguito in ricamo su seta. La raccolta, di proprietà della A.S.L.9 – Grosseto, è data in comodato al Comune di Casteldelpiano. Nella stessa sala è presente anche un bozzetto di Giuseppe Nicola Nasini acquistato nel 2005 dall’Amministrazione Comunale.

Seggiano Santuario della Madonna della Carità




Uno dei monumenti più importanti della paese e forse il più spettacolare dell’Amiata si trova però a valle, appena fuori del borgo, immerso tra gli olivi secolari, ed è lo splendido Santuario della Madonna della Carità, l’unico esempio del senese legato al gusto manieristico mitteleuropeo. L’edificio fu costruito tra il 1589 e il 1603 da maestranze prevalentemente luganesi in seguito ad un voto fatto per la cessazione di un drammatico periodo di carestia e fu voluto dal Vescovo di Pienza Francesco Maria Piccolomini e dalla famiglia di origine senese degli Ugurgeri, i maggiori contribuenti della fabbrica, insieme alla comunità e al popolo di Seggiano, i cui stemmi campeggiano sulla facciata della chiesa La sua origine è da mettere in relazione alla religiosità popolare che ebbe un grande impulso nella zona dopo le grandi carestie degli ultimi decenni del cinquecento che portano il popolo ad affidarsi alla protezione di Dio e della Vergine come ultimo ed unico rifugio e che spiegano anche la leggenda che avvolge la fondazione del tempio ricordata ancora a Seggiano: la Madonna della Carità avrebbe concesso un pane miracoloso ad una madre che l’aveva invocato.
La sua collocazione, fuori dal centro storico, è tipica delle nuove chiese rinascimentali e la sua costruzione è da mettere in relazione anche al clima di rinnovato sviluppo del culto mariano tipico del movimento controriformista di cui si fece portavoce lo stesso granduca Ferdinando I dei Medici. La chiesa, che resta un monumento molto interessante sul piano architettonico, conservando ancora le forme e decorazioni originarie, ha però la sua peculiarità, rispetto ad altri edifici religiosi contemporanei, nella varietà degli elementi decorativi ed ornamentali in trachite, nel suo particolare carattere artistico derivato dalla cultura eclettica portata dai maestri luganesi cui è attribuita l’opera. In una ricerca del 1985 Renato Zangheri assegna la paternità dell'opera a Giovanni della Valle di Lugano, uno dei tanti maestri tagliapietre e capomastri del Canton Ticino attivi a Seggiano nella seconda metà del cinquecento.
La facciata, dove le decorazioni in trachite contrastano con il fondo chiaro dell'intonaco, si presenta su due ordini, in basso dorico e nella parte superiore composito segnato da un architrave con metope e triglifi. Sul portale sostenuto da due colonne e due pilastri simmetrici con capitello composito, vi è l'affresco di una Annunciazione dentro una cornice a volute. La cupola in mattoni è a quattro spicchi, il campanile è a doppia vela. L'interno, suddiviso in tre navate piuttosto accentrate, è coperto con volte a botte nella parte centrale e a crociera nelle navate laterali. I sei altari laterali in trachite furono fatti costruire su committenza dei vari esponenti della famiglia Ugurgeri e conservavano dei dipinti su tela tutti trafugati negli anni '60.Nell'altare maggiore del presbiterio è posto un affresco con la Madonna con il bambino


Roccastrada la Torre dell'Orologio


 


La struttura originaria risaliva al XIV sec. e fu ricostruita in stile dopo l’ultima guerra mondiale, durante la quale venne distrutta. Rappresentava il fulcro delle fortificazioni del castello di Roccastrada e ne proteggeva l’accesso nord; la porta della Madonnina rappresentava l’ingresso sud. La struttura coronata da archetti pensili la rende somigliante a quella del Mangia di Siena, ed è preceduta da un antiporto di scopo difensivo

Campagnatico la Rocca Aldobrandesca





La Rocca aldobrandesca di Campagnatico si trova nella parte più alta del centro storico dell'omonima località della Valle dell'Ombrone. Una prima fortificazione venne costruita nel corso del X secolo dagli Aldobrandeschi e, nel corso dei secoli successivi, vennero completati i lavori di incastellamento del borgo che ebbero termine nel Duecento con la realizzazione della rocca e della cinta muraria. Proprio in epoca Duecentesca iniziò a farsi sentire l'influenza senese che determinò una serie di conflitti che culminarono con l'uccisione di Omberto Aldobrandeschi, episodio ricordato anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia (Purgatorio, XI, 52-72). Tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento il luogo venne completamente assoggettato alla Repubblica di Siena. Dopo alcuni danneggiamenti subiti dalla rocca e dalla cinta muraria tra la seconda metà del Trecento e gli inizi del Quattrocento, l'intero complesso fortificato fu completamente ristrutturato utilizzando i materiali di recupero in pietra. A metà Cinquecento, con la definitiva caduta della Repubblica senese, Campagnatico e la sua rocca entrarono a far parte del Granducato di Toscana e, da allora, ne seguirono le sorti. Nei secoli successivi la rocca ha subito alcuni interventi di ristrutturazione e rimaneggiamento che hanno modificato in parte il suo aspetto originario. [modifica] Aspetto attuale La Rocca aldobrandesca di Campagnatico si trova in posizione dominante sull'intero abitato, sulla Valle dell'Ombrone e su tutto il territorio collinare circostante. Il complesso è costituito da una torre a sezione quadrangolare, con un imponente basamento a scarpa. Le pareti sono completamente rivestite in pietra, con alcune finestre che si aprono ad altezze diverse; su un lato, la torre è addossata ad un'alta cortina muraria che rende il complesso ancora più possente. Attorno alla torre si trovano alcuni edifici in pietra, originariamente facenti parte del complesso, che hanno subito alcune modifiche nei secoli scorsi.

Roccalbegna la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo

 

Situata in piazza XX settembre, la chiesa dei Santi Pietro e Paolo, fulcro della vita religiosa di Roccalbegna, dopo i crolli avvenuti intorno al 1955 rischiava di cadere in rovina se sapienti lavori di consolidamento non l’avessero recuperata. Costruito intorno al 1296 in forme romaniche, questo interessantissimo edificio, che costituisce anche una piccola galleria d’arte poiché vi sono custodite opere di alto valore artistico, venne interessato, alla fine del Trecento, da importanti lavori di ristrutturazione che donarono alla facciata il bel portale gotico. Caratterizzato da una profonda strombatura, è dotato di una ricca decorazione scultorea ed è sormontato dall'architrave che, a causa di un antico assestamento del terreno, è fortemente inclinato verso destra. L’interno, che si presenta ad una sola ampia navata rettangolare conclusa da un’abside quadrangolare, conserva una grande tela secentesca recentemente attribuita a Francesco Nasini raffigurante, in una tempestosa atmosfera, La Madonna del Carmine e i santi Cristoforo (patrono di Roccalbegna) e Jacopo. Lungo la parete sinistra sono collocati un grande Crocifisso ligneo probabilmente del XIV secolo e la bella tela secentesca, anch’essa attribuita a Francesco Nasini, raffigurante la Crocifissione. Oltre alle tavole della Madonna col Bambino di Ambrogio Lorenzetti, collocate dietro l’altare maggiore, e a numerosi altri manufatti artistici, si conserva vicino all’ingresso un tempietto in pietra con affreschi di scuola senese del XVI secolo all’interno del quale è stato collocato il pregevole fonte battesimale proveniente dall’Oratorio del Crocifisso, sempre a Roccalbegna. Va infine segnalato, presso l’ingresso, un raro stendardo di seta che da un lato reca lo stemma dei Lorena e dall’altro una scritta inneggiante al movimento antigiacobino detto del “Viva Maria”, una significativa testimonianza storica oltre che artistica degli ultimi anni del XVIII secolo.

Scarlino la Rocca Aldobrandesca


 

La Rocca aldobrandesca, nota anche come Rocca Pisana o Castello di Scarlino si trova nella parte più alta del centro storico dell'omonimo comune della provincia di Grosseto. Il Castello di Scarlino sorse come rocca nel corso del X secolo, per volere degli Aldobrandeschi, in un'area che aveva dato alla luce reperti di epoca preistorica. Il complesso rimase di proprietà della famiglia Aldobrandeschi fino alla fine del Duecento, eccetto un breve e temporaneo passaggio alla famiglia Alberti di Mangona. Tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento il castello fu ceduto ai Pisani che lo controllarono per quasi un secolo; proprio in questo periodo fu completamente ristrutturato il complesso. Nel 1398 sia Scarlino che la sua rocca entrarono a far parte del Principato di Piombino, sotto la cui giurisdizione rimase fino al 1815, anno in cui entrò a far parte definitivamente del Granducato di Toscana. Dopo un lungo periodo di degrado che ha compromesso una parte dell'antica fortificazione, sono stati condotti importanti interventi di restauro negli ultimi anni del Novecento che hanno permesso di salvare il complesso, cercando di riportarlo agli antichi splendori. La Rocca aldobrandesca di Scarlino si trova in posizione dominante rispetto all'abitato, all'area meridionale delle Colline Metallifere grossetane e alla parte settentrionale della Maremma grossetana; si presenta sotto forma di imponenti ruderi ottimamente recuperati grazie ai lavori di restauro effettuati negli ultimi due decenni del Novecento. Il complesso attuale, risalente alla ristrutturazione tardo medievale, è costituito da 3 torri angolari differenti tra loro, unite tra loro da una serie di cortine murarie di altezza diversa. La torre nord-orientale si presenta a sezione circolare, con una porta ad arco tondo; attorno ad essa si sviluppano i resti di cortine murarie che dovevano racchiudere, in passato, un bastione o un fortilizio. La torre sud-orientale presenta una sezione quadrata, mentre quella sud-occidentale è rettangolare e di altezza minore rispetto alle altre. L'intero complesso, interamente rivestito in pietra, poggia su strutture molto più antiche che testimoniano l'origine alto medievale del castello.

Grosseto Il Monumento a Canapone


Il Monumento a Canapone è un monumento situato in Piazza Dante.Il monumento, dedicato al granduca Leopoldo II di Lorena che fu amichevolmente soprannominato Canapone dai Grossetani, fu realizzato dallo scultore ascianese Luigi Magi poco prima della metà dell'Ottocento. La sua collocazione al centro di Piazza delle Catene risale alla primavera del 1846.IL monumento si trova nel punto in cui sorgeva un pozzo che, nei secoli precedenti, era necessario per il rifornimento idrico delle abitazioni situate nella corrispondente area del centro storico; la cisterna sottostante fu interrata nello spazio corrispondente all'area delimitata dalla circonferenza rialzata.Il Monumento a Canapone è un gruppo scultoreo in marmo bianco collocato sopra un alto basamento.La statua centrale, di altezza superiore a tutte le altre, rappresenta il granduca Leopoldo II di Lorena, a cui è dedicata l'opera. Canapone presenta un volto rilassato, con la caratteristica barba e lo sguardo rivolto alla sua sinistra verso la donna dal volto triste che tiene con la sua mano sinistra risollevandola. La donna è la madre del bambino morente che si appoggia con la testa sulla sua coscia sinistra. La donna costituisce la rappresentazione allegorica della Maremma, il bambino morente del futuro a cui sembrava essere destinata. Tuttavia, nello sguardo della donna rivolto verso il granduca si scorgono segnali di speranza.Con la mano destra, il granduca un bambino nudo, di età superiore a quello scolpito nell'altra statua, che schiaccia con i suoi piedi un serpente che, al tempo stesso, viene morso da un grifone. Allegoricamente, questo bambino tenuto per mano dal granduca rappresenta il cambiamento positivo che Leopoldo II di Lorena è riuscito a dare per il futuro della terra di Maremma, contribuendo a debellare la malaria che viene rappresentata dal serpente morente, alla cui uccisione collabora anche il grifone che rappresenta la città di Grosseto, della quale oggi ne costituisce sia il simbolo che lo stemma comunale.